Conti pubblici, maggioranza salva per un voto
L’aula del Senato ha approvato, ieri, in via definitiva il rendiconto generale dello Stato 2015 e l’assestamento di bilancio 2016. Si tratta di due importanti provvedimenti attraverso i quali di provvede da un lato a dare conto al Parlamento di quanto autorizzato con la legge di bilancio dell’esercizio precedente e dall’altro ad aggiornare il bilancio di previsione annuale alle vicende economiche e finanziarie sopravvenute.
Il sì sui conti pubblici è arrivato grazie ai voti di Ala
Il via libera è arrivato con il minimo di voti necessari: il rendiconto 2015 è stato approvato con 142 sì, 3 no e 2 astenuti mentre l’Assestamento di Bilancio 2016 ha ottenuto 143 sì, 92 no e 3 astenuti.
La maggioranza ha rischiato grosso in quanto occorrevano 141 voti a favore e, a causa di una serie di assenze sia nelle fila del partito democratico che in quelle del Nuovo centro destra, se non ci fosse stato il sostegno da parte dei parlamentari di Ala, il rischio di una bocciatura su un tema fondamentale come quello dei conti pubblici alla vigilia del varo della nuova manovra finanziaria, poteva rischiare di provocare una crisi di governo.
Gli esponenti dell’esecutivo hanno minimizzato l’episodio ribadendo che le assenze non erano strategiche ma assolutamente giustificate, mentre le opposizioni hanno cercato di cavalcare la situazione almeno dal punto di vista mediatico, indicando Verdini come il salvatore ufficiale di Renzi.
Per l’opposizione, mancata revisione della spesa e aumento delle tasse
Quanto ai contenuti dei due provvedimenti, le opposizioni hanno messo in rilievo l’eccessivo ottimismo manifestato dall’esecutivo sui conti pubblici e la necessità divenuta ormai improcrastinabile di una revisione attenta della spesa, o meglio, per dirla con la Corte dei conti ”una revisione attenta di quanto può o non può più essere a carico del bilancio dello Stato, in un processo di selezione della spesa attento a non incidere negativamente sul potenziale di crescita del Paese”.
In particolare il forzista Andrea Mandelli, vice presidente della commissione Bilancio del Senato ha ricordato come ”le tre manovre economiche del governo Renzi sono state realizzate in deficit, provocando l’aumento del debito pubblico e generando un effetto depressivo sul Pil quantificabile in almeno 18 miliardi tra il 2014 e il 2016”. E la tanto decantata riduzione delle tasse in realtà non c’è stata.
La maggioranza rivendica l’inversione sul dato della crescita ed il contenimento della spesa
La difesa della maggioranza è stata affidata nelle mani del sen. Giorgio Tonini che ha parlato a nome del gruppo del PD ricordando come, ”secondo l’ISTAT proprio tra il 2014 e il 2015 è stato invertito il dato sulla crescita, passando da una fase di recessione a una di crescita (sia pur molto moderata) e come anche l’occupazione è tornata a vedere il segno positivo”. Tonini ha rivendicato a questo Governo il merito di essere riuscito ”a tenere sotto controllo la spesa e a invertire la tendenza anche sulla pressione fiscale e di aver fatto tutto ciò in una condizione molto difficile, paragonabile al cammino di un montanaro su un crinale molto sottile e scivoloso, rispetto al quale a destra c’è il precipizio della recessione e a sinistra quello del default, della crisi del debito, dell’insolvenza dello Stato”.
Superato questo scoglio il governo Renzi dovrà affrontare il giudizio del Parlamento sulla Nota di aggiornamento al DEF e, entro poco più di una settimana, presentare la nuova manovra finanziaria.