Editoria: approvata una riforma senza fondi
Con 275 voti favorevoli ed 80 contrari l’aula di Montecitorio ha approvato il disegno di legge di riforma del settore dell’editoria, scrivendo la parola ”fine” all’iter di un provvedimento il cui esame era iniziato alla Camera all’incirca un anno fa e che rappresentava un’eredità della scorsa legislatura.
Il testo non ha subito modifiche rispetto a quello giunto dall’altro ramo del Parlamento.
Nel corso delle dichiarazioni di voto è stata rilevata l’importanza di un intervento del legislatore in un ambito, quello dell’editoria, che sta vivendo forse il momento più difficile della propria storia. Il giornalismo italiano, infatti, negli ultimi anni ha subito una perdita occupazionale di 6 volte superiore a quella del Paese in generale.
Pro e contro della riforma dell’editoria
Il provvedimento diventato legge apre la strada a tutta una serie di decreti legislativi che il Governo dovrà emanare per dare corpo alla delega del Parlamento. A questo proposito da parte del gruppo Sinistra italiana, che ha votato ”a favore con convinzione”, è stato posto l’accento sulla necessità di provvedere a tutelare adeguatamente le edicole che pur rappresentando ”l’anello di congiunzione tra qualità e diffusione democratica dell’informazione sono anche la parte più fragile della filiera in un rapporto impari con una distribuzione che ha assunto, in particolare negli ultimi anni, una posizione dominante”.
Altro punto dolente, sul quale si sono concentrati molti degli interventi in aula, è il capitolo risorse: ”se il Governo non garantirà fondi necessari per avviare una programmazione lunga e sostenibile nel tempo la piccola editoria piccola editoria morirà”.
Contrario il voto di Foza Italia nonostante il giudizio positivo su alcuni punti del provvedimento quali il tetto dei 240 mila euro per gli stipendi dei dirigenti Rai. Le ragioni del no stanno tutte nell’eccessivo accentramento su palazzo Chigi per quanto attiene ai fondi da erogare ed ai criteri in base ai quali erogarl
Molto più radicale la posizione del M5S secondo cui ”qualsiasi legame, soprattutto di tipo economico, tra media e Governo, è controproducente per la libertà dell’informazione”.