L’emergenza sanitaria in atto ha temporaneamente “stoppato” il cammino di due abbinati disegni di legge presentati in Senato rispettivamente da Forza Italia e M5S e finalizzati a configurare una ipotesi di responsabilità aggravata civile per colui che, in malafede o con colpa grave, attiva un giudizio a fini risarcitori per diffamazione a mezzo stampa.
I due provvedimenti, di identico contenuto, sono stati esaminati congiuntamente dalla Commissione Giustizia di Palazzo Madama che ha provveduto a licenziare il testo unificato per l’aula nel dicembre 2019 (S. 812-835/A). Nello specifico si provvede ad aggiungere un quarto comma all’art. 96 del codice di procedura civile con cui si stabilisce che il giudice –rigettando la domanda di risarcimento– può condannare l’attore, oltre che al rimborso delle spese anche al pagamento in favore del convenuto di una somma determinata in via equitativa non inferiore ad un quarto della somma oggetto della domanda risarcitoria. L’intento è quello di scoraggiare chi, non avendo niente da perdere, avvii un giudizio pur consapevole dell’infondatezza delle sue ragioni, a scopo prettamente dilatorio o per scoraggiare o addirittura intimorire la controparte.
L’argomento riveste grande interesse non solo per il settore giornalistico (molte inchieste finiscono per arenarsi a causa delle querele avviate dalle persone coinvolte), ma anche per la maggior parte dei professionisti (medici, odontoiatri, periti, ingegneri ecc., nonché per i testimoni nei processi). L’auspicio è che, non appena l’emergenza sanitaria in atto lo renderà possibile, si riprenda l’esame del provvedimento sulla lite temeraria, stabilendo che tutte le domande risarcitorie risultate infondate o peggio, attivate in mala fede, comportino per costo per chi le ha attivate.